..un bel momento e basta.

Di recente ho visto un video di una sposa che si innervosiva perché il papà, poco prima di accompagnarla all’altare, non riusciva a trattenere le lacrime, e le lacrime gli impedivano di mettere un piede davanti all’altro.

Capita. Può capitare.

Può capitare anche che la sposa si senta innervosita e la prima cosa sia quella di dire “smettila!”
E mi immagino che il padre si possa sentire in colpa, sbagliato, a disagio. Magari pensa di mettere in imbarazzo la figlia.

E io, guardando il video, pensavo “Tanto adesso l’abbraccia” “Avanti, abbraccialo”.
Ma nel video non avviene. E a volte non avviene neanche nella realtà.

Capita. Può capitare.

Ma se potessi davvero intervenire senza offendere nessuno, nel momento in cui questo avviene, glielo direi io “ABBRACCIALO!”

E se abbracciarlo aumenterà le lacrime, poco importa.
Abbiamo tutto il tempo del mondo.

Prendetevi tutto il tempo che volete e serve per un abbraccio con chi volete. Quando volete e quando serve.
Il giorno del vostro matrimonio o in qualsiasi altro giorno.
Non solo crea un bel momento da fotografare,
ma da vita a un bel momento e basta.

Quando vostro padre vi accompagna all’altare, dopo aver ricevuto il primo bacio da quello che sta per diventare vostro marito, giratevi e date un bacio al vostro accompagnatore,
a vostro padre se avete la fortuna di essere state accompagnate da lui.

E sposi, dopo aver dato il primo bacio alla vostra futura sposa,
guardate vostra madre e baciatela.

Io li vedo quei genitori li, imbarazzati ed emozionati, che spesso non sanno che fare e spesso ancora stanno solo aspettando un altro bacio dai propri figli.

E andateli a prendere li, seduti al tavolo, mentre chissà che non vogliono ballare ma allo stesso tempo lasciarvi il vostro spazio.

Abbiate spazio per tutti.


Ogni tanto mi capita di suggerirlo, l’emozione di quel giorno è cosi grande che si rischia di dimenticare persino il proprio nome.
E chi ha la mente lucida ha il compito di aiutare a gestire meglio che si può la situazione.

E quindi mi capita di dare qualche dritta, e ne sono felice.

Non solo per creare un bel momento da fotografare,
anzi, quasi per niente.
Ma sopratutto per dar vita a un bel momento e basta.

Dolori invisibili che diventano progetti

Ogni tanto penso a quando è nato Giovanni,
il mio modo di lavorare al mio personale progetto sul post parto che è sempre li,
in cima alle cose da fare.
E ogni tanto, pensando alla bellezza del momento,
provo un dolore al petto, che passa per il cuore e arriva alle spalle,
proprio li dove dicono dover sentire il latte “che si fa”.
Ogni tanto vorrei tornare indietro,
rivivere quel momento senza tutta quella fragilità che mi faceva sciogliere in un pianto,
impotenza che mi faceva dire ok ad ogni cosa mi venisse consigliata.
E non so perché ricordo con più nitidezza solo i momenti paradossalmente appannati dalle lacrime.
So che mi è servito per affrontare una nuova gravidanza e un nuovo arrivo in casa con più consapevolezza e con più forza.
Ma avrei voluto vivere cosi anche quella prima esperienza.


Parlarmi è il mio modo di ascoltarmi.
Ascoltare il mio corpo.
Mi parlo tanto e a volte ho pianto anche di più.
Non ora. Ora ho trasformato lacrime in forza e forza in progetti fotografici. A volte solo per me.
E quelle lacrime sono esattamente le cose che ho fatto o non ho fatto.

“ Che ci piangi tu che hai avuto la fortuna di avere figli? ”
Non ha senso e allo stesso tempo non so rispondere.
Ma perché non legittimare un dolore invisibile agli altri?
Non è anche questo prendersi cura di se stessi?
E se non lo facciamo noi, perché gli altri dovrebbero accorgersene?Parliamoci chiaro, ormai non sappiamo più che dire a una neo mamma o una mamma in generale, sembra che ogni cosa sia sbagliata o che se la possa prendere.
Però di certo possiamo ascoltarla se vuole essere ascoltata, aiutarla quando chiede aiuto.
Non esiste un manuale di “persone che incontrano mamme e neo-mamme” però di certo un pò di delicatezza è solo alla base di una relazione con qualcuno che per la prima o centesima volta diventa mamma.
Prendersi cura di un bambino, che tu sia nonna, zia, amica o chiunque, significa per prima cosa prendersi cura della sua mamma.

Quella donna che ha preso qualcosa di più importante del suo polmone o del suo stesso cuore e ve lo sta porgendo in mano.

Ve lo affida e a volte, invece, non vuole farlo affatto.
E dovreste solo rispettare quel volere, quel tempo.

E ogni tanto penso a quando è nato Giovanni, al mio corpo dolorante che ha accolto centinaia di visite, consigli, alle gocce d’acqua della doccia che si mischiavano alle lacrime, quella claustrofobia.

E mi fa male il petto, il cuore e le spalle, proprio li dove dicono dover sentire il latte “che si fa”.

E adesso so che farmene di questo dolore invisibile a tutti
tranne all’anima mia.